Ogni giorno muoiono 10 mila persone perché non possono permettersi cure sanitarie, e 262 milioni di bambini non vanno a scuola. Il rapporto Oxfam 2019 fa luce su disuguaglianza economica e disuguaglianza sociale in Italia e nel mondo. L'ingiusta distribuzione della ricchezza potrebbe essere risolta in parte se l'1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio
A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. L’anno scorso soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2017 queste fortune erano concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile. Una situazione che tocca soltanto i paesi in via di sviluppo? No, perché anche in Italia la tendenza all’aumento della concentrazione delle ricchezze è chiara.
A metà 2018 il 20% più ricco tra gli italiani possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Salendo più in alto nella scala, il 5% più ricco era titolare da solo della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero.
Nei dieci anni successivi alla crisi finanziaria il numero di miliardari è quasi raddoppiato. Solo nell'ultimo anno la ricchezza dei Paperoni nel mondo è aumentata di 900 miliardi di dollari (pari a 2,5 miliardi di dollari al giorno) mentre quella della metà più povera dell'umanità, composta da 3,8 miliardi di persone, si è ridotta dell’11,23.
Oggi 10 mila donne e uomini saranno condannati a morte dalla mancanza di accesso a cure sanitarie e 262 milioni di bambine e bambini non potranno andare a scuola. Oggi, come in qualunque altro giorno dell’anno. Il mondo dipinto dal rapporto globale di Oxfam è in bianco e nero, con buona pace per le sfumature: sempre più persone in povertà estrema da una parte, pochi Paperoni ultra-miliardari dall’altra. Tanto che se l’1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, si potrebbe salvare la vita a 100 milioni di persone e permettere a tutti i bambini di avere un’istruzione nel prossimo decennio.
Una grossa mole di numeri, percentuali e statistiche, quelli contenuti nel rapporto Oxfam 2019 “Bene pubblico o ricchezza privata?” che dipingono una realtà di marcata disuguaglianza sociale ed economica che non accenna a diminuire. Tanto nei paesi ricchi, Italia compresa, quanto in quelli da ormai troppo tempo definiti “in via di sviluppo”.
Dal report emergono le numerose conseguenze di questo stato di cose: oltre a gettare nella povertà centinaia di milioni di persone, a partire dalle donne, la distanza crescente tra ricchi e poveri «alimenta la rabbia sociale in tutto il mondo» e «danneggia le nostre economie»
E il documento arriva a individuare anche un’agenda che i governi di tutto il mondo dovrebbero promuovere nella lotta alla disuguaglianza. Cominciando dallo sviluppo di servizi pubblici essenziali come sanità e istruzione, passando per la lotta all’elusione fiscale e arrivando a un’imposizione fiscale che chieda a tutti di contribuire a una società più equa in base alle proprie possibilità.
«Non dovrebbe essere il conto in banca a decidere per quanto tempo si potrà andare a scuola o quanto a lungo si vivrà. Eppure è proprio questa la realtà di oggi in gran parte del mondo. Mentre multinazionali e super-ricchi accrescono le loro fortune a dismisura, spesso anche grazie a trattamenti fiscali privilegiati, milioni di ragazzi, soprattutto ragazze, non hanno accesso a un’istruzione decente e le donne continuano a morire di parto» |
Bene pubblico o ricchezza privata? Rapporto Oxfam (Versione Inglese) - Download - |
C’è un dato che spicca su tutti: l’1% più ricco del Pianeta detiene quasi la metà della ricchezza aggregata netta totale (il 47,2%, per la precisione), mentre 3,8 miliardi di persone, pari alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare appena sullo 0,4 per cento.
E snocciolando questi dati, quasi fossero un rosario dell’ingiustizia, ci si scontra con altri numeri che lasciano poco spazio all’interpretazione.
«Nel 2018, da soli, 26 ultramiliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta (nel 2017 erano 43, ndr). Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico»
La tendenza registrata l’anno scorso non fa prevedere nulla di buono per l’avvenire. Nel 2018, infatti, le ricchezze in mano a 1.900 Paperoni è cresciuta di oltre 900 miliardi di dollari (+12%), pari a 2,5 miliardi di dollari al giorno. Per contro, quelle della metà più povera sono calate dell’11 per cento.
Questo trend è confermato anche da un’analisi di medio periodo. Da una parte, infatti, si registra una crescita costante a partire dal 2011 della ricchezza globale in mano all’1% più ricco. Dall’altra, si nota ormai da oltre tre anni un preoccupante fallimento nella lotta alla povertà estrema.
«Dopo una drastica diminuzione, tra il 1990 e il 2015, del numero di persone che vive con un reddito di meno di 1,90 dollari al giorno, ad allarmare è il calo del 40% del tasso annuo di riduzione della povertà estrema (che secondo le stime è rallentato ulteriormente tra il 2015 e il 2018). Un aumento della povertà estrema che colpisce in primis i contesti più vulnerabili del globo, come l’Africa sub-sahariana»
Oggi 3,4 miliardi di persone vivono con meno di 5,5 dollari al giorno e, stando alle nuove soglie utilizzate dalla Banca Mondiale, ci sono 2,4 miliardi tra donne e uomini che devono ancora essere considerate “estremamente povere”
A far scricchiolare l’impianto generale è l’ingiusta distribuzione della ricchezza. Oxfam fa notare, per esempio, che il surplus di reddito non è distribuito allo stesso modo tra chi contribuisce alla sua creazione, come dovrebbe essere. Detto in cifre, secondo l’ultimo World Inequality Report, «tra il 1980 e il 2016, il 50% più povero del mondo ha ricevuto solo 12 centesimi per ogni dollaro di incremento del reddito globale, mentre l’1% più ricco ne ha ricevuti 27»
Secondo stime recenti del Programma di Sviluppo dell’Onu, inoltre, ci sono circa 200 milioni di persone in America Latina che oggi corrono il rischio di precipitare sotto la soglia della povertà estrema. «Una dinamica che mette a repentaglio il raggiungimento dell’obiettivo di sconfiggere, entro il 2030, la povertà estrema, fissato dall’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite»
La crescita della disuguaglianza ha un costo che viene pagato innanzitutto in vite umane. I ricercatori dell’organizzazione non governativa calcolano infatti che ogni giorno sono circa 10 mila le persone che muoiono perché non possono accedere a servizi sanitari a prezzi che si possono permettere.
Una situazione legata a servizi pubblici che sono «sistematicamente sotto-finanziati o vengono esternalizzati ad attori privati, con la conseguenza che vengono esclusi i più poveri». E ogni anno ci sono 100 milioni di persone che diventano “povere”, mentre altre 800 milioni «affrontano enormi difficoltà economiche a causa delle spese sanitarie che devono sostenere»
Esempi di correlazione tra povertà e speranza di vita, del resto, si trovano in ogni parte del mondo. Dall’India, dove una donna della casta più bassa vive 15 anni meno di una di rango elevato. Alla città di Londra, dove l’aspettativa di vita crolla di sei anni se si sposta l’attenzione da un quartiere ricco a uno povero della City.
«In 137 paesi in via di sviluppo un bambino povero ha in media il doppio delle probabilità di morire prima dei 5 anni di età rispetto a un bambino ricco» |
Mentre 262 milioni di bambini non riescono ad andare a scuola, come sarebbe loro diritto. Un macigno che pesa sui più poveri: considerando sempre i paesi in via di sviluppo, chi nasce in un “contesto agiato” ha il 32% di probabilità in più di terminare le elementari rispetto a chi cresce in povertà.
La situazione di uomini e donne è diversa praticamente ovunque. Sempre a discapito delle donne
«A livello globale gli uomini possiedono oggi il 50% in più della ricchezza netta delle donne e controllano oltre l’86% delle aziende. Anche il divario retributivo di genere, pari al 23%, vede le donne in posizione arretrata. Un dato che per di più non tiene conto del contributo gratuito delle donne al lavoro di cura» |
A questo proposito, i ricercatori di Oxfam fanno anche un esercizio contabile che aiuta ad avere un’idea di quello di cui si parla: mettendo insieme tutto il lavoro di cura svolto dalle donne senza ricevere alcun compenso e ipotizzando di appaltarlo tutto a un’unica società, questa registrerebbe un fatturato complessivo di 10 mila miliardi di dollari l’anno, pari a 43 volte i ricavi di Apple, la maggiore compagnia a livello mondiale.
E non è tutto. Fa notare ancora il report sulla disuguaglianza nel mondo di Oxfam: «In tempi di crisi ad esempio sono le donne a risentire maggiormente di shock economici: i tagli ai servizi pubblici hanno un più forte impatto per le donne sulle cui spalle ricade (frutto di una dominante mentalità maschilista) il lavoro di cura. Anche le politiche fiscali possono accentuare le disparità di genere. Tagli alle imposte patrimoniali, sui redditi più elevati o sui redditi d’impresa beneficiano in misura prevalente gli uomini che sono sovra-rappresentati tra i titolari di ricchezza o percettori di redditi più elevati»
Tra le principali cause della disuguaglianza nel mondo, il rapporto Oxfam evidenzia l’iniqua distribuzione delle tasse. E, in particolare, «la tendenza pluridecennale, che ha portato alla graduale erosione di progressività dei sistemi fiscali e a un marcato spostamento del carico fiscale dalla tassazione della ricchezza e dei redditi d’impresa a quella sui redditi da lavoro e sui consumi»
Anche in questo caso, i dati a supporto di questa analisi sono tanti. Per esempio, andando a vedere da dove arrivava il denaro prelevato dal fisco nel 2015 nel mondo, si scopre che appena 4 centesimi per ogni dollaro raccolto si riferiva a imposte sul patrimonio. E nel tempo la situazione è persino peggiorata: «Questo genere di imposte ha subito una riduzione, o è stato eliminato del tutto, in molti paesi ricchi e viene a malapena reso operante nei paesi in via di sviluppo»
Una situazione che ha portato a inversioni d’ingiustizia lampanti. Come in Brasile o Regno Unito, dove sommando imposte dirette e indirette si scopre che «il 10% dei poveri paga in proporzione al reddito, più tasse rispetto al 10% più ricco»
Limitando l’analisi ai paesi ricchi, Oxfam fa notare che l’aliquota massima dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è crollata dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013. E i paesi in via di sviluppo sembrano aver seguito l’onda, registrando oggi una media del 28% circa.
Oppure, ancora, andando a vedere l’aliquota pagata sui redditi d’impresa da 90 grandi multinazionali si scopre che questa è passata dal 34% al 24% dal 2000 al 2016.
Per combattere povertà e disuguaglianza, sottolinea Oxfam, serve una rete efficace di servizi pubblici e misure di protezione sociale adeguate. In particolare, diverse analisi dimostrano ormai come «gli investimenti in sanità, istruzione e protezione sociale siano cruciali per ridurre il divario tra ricchi e poveri» e «una recente ricerca condotta su 13 economie in via di sviluppo ha evidenziato come gli investimenti in sanità ed istruzione abbiano contribuito a ridurre del 69% il livello di disuguaglianza economica»
Inoltre, se tutti i bambini potessero imparare una “lettura di base”, si stima che circa 171 milioni di persone si affrancherebbero dalla povertà estrema.
Quanto all’accesso alle cure mediche, si calcola poi che nelle economie a medio e basso reddito circa 3,6 milioni di persone muoiono proprio perché non hanno possibilità di accedervi.
Detto in estrema sintesi, dunque, «la capacità dei servizi pubblici e degli interventi di protezione sociale di fungere da livellatore delle disuguaglianze all’interno di un Paese dipende molto dalle risorse allocate per il loro finanziamento, dalle modalità di erogazione e dai livelli di qualità del servizio»
Oxfam dedica uno spaccato anche all’Italia dove, fa notare l’ong, a metà 2018 il 5% più ricco possiede una quantità di ricchezza pari a quella del 90% più povero. E non solo: il 20% più ricco ha circa il 72% della ricchezza nazionale totale e il successivo 20% controlla il 15,6% della ricchezza, lasciando dunque al 60% più povero appena il 12,4% della ricchezza nazionale.
Estendendo l’analisi al 10% degli italiani con il maggior patrimonio, si scopre inoltre che possiedono più di sette volte la ricchezza detenuta dalla metà più povera dei cittadini del nostro paese. Un divario, peraltro, che si è ampliato nel corso del tempo: dall’inizio di questo millennio al primo semestre 2018, infatti, «le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente»
Detto in cifre: la ricchezza detenuta dal top-10%, in risalita dal 2009, si è attestata a fine giugno 2018 al 56,13% (contro il 50,57% del 2000), mentre la quota della metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa, passando dal 13,1% di inizio millennio ad appena il 7,85 per cento.
In estrema sintesi, Oxfam fa tre richieste ai governi, ricordando gli impegni presi con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che prevedono 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro 11 anni.
In primis, l’ong chiede che siano erogati servizi sanitari ed educativi «universali e gratuiti, mettendo fine alla privatizzazione dei servizi pubblici»
In secondo luogo, Oxfam chiede che sia riconosciuto «l’enorme lavoro di cura svolto dalle donne supportandole con la messa a disposizione di servizi pubblici che possano ridurre l’ammontare di ore di lavoro non retribuito a loro carico permettendo così un’emancipazione della propria vita professionale e politica»
Infine, il report chiede di «porre fine a sistemi fiscali che avvantaggiano ricchi individui e grandi corporation, tassando in maniera equa la ricchezza e il capitale, e arrestando la corsa al ribasso sulla tassazione dei redditi individuali e di impresa»
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